Antieuropa

CHI HA PAURA DEL “BIENNIO ROSSO”?

Copertina del libro di Pietro Cappellari: Da Vittorio Veneto alla marcia su Roma.

Nel dibattito politico si parla tanto di <<violenza squadrista>>, mai però di quello che l’ha provocata. In libreria, finalmente, esce una raccolta di testi che libera la storia dalle falsificazioni marxiste.

Il <<Biennio rosso>> fu l’alba di una nuova era. Terminate le <<tempeste d’acciaio>> della prima Guerra Mondiale, l’Italia si ritrova nel vortice della tensione ideale e della riconfigurazione rivoluzionaria dell’esistente: l’impresa fiumana, le insurrezioni operaie e contadine, il vento orientale del socialismo, la nascita dei Fasci di combattimento, la violenza politica come mezzo di confronto e di affermazione.

Sebbene si tratti di uno snodo cruciale per la comprensione dell’intero Novecento, il “biennio rosso” è sempre rimasto confinato nel limbo di una ricostruzione storica incompleta e artefatta, pronta a trasformare le macellerie messicane dei sovversivi comunisti nella legittima ribellione intellettuale dei proletari.

Eppure i numeri parlano chiaro: nel solo 1919, mentre imperversava il grido <<facciamo come in Russia>>, vennero uccise oltre 120 persone.

Non fu da meno il 1920, aperto con l’entusiasmo della “marea rossa”, ormai convinta dell’imminente trionfo della rivoluzione bolscevica. Disordini e tumulti si contano a migliaia.

Le cronache del tempo, sapientemente omesse, riportano innumerevoli efferatezze: A Corleto Perticara (Potenza), <<Due militari uccisi a randellate, ridotti ad un ammasso di ossa e poltiglia sanguinolenta, le cui orbite oculari furono umiliate infilzandole con perastri selvatici e ricoprendole con escrementi>>.

Pochi giorni dopo, a Milano, un altro brigadiere cadde vittima della furia socialista. A commentare il fatto fu proprio Benito Mussolini, che in quello stesso luogo conoscerà, un quarto di secolo più tardi, il terribile odio della barbarie antifascista: <<La storia non ha episodi così atroci come quello del Piazzale Loreto. Nemmeno le tribù antropofaghe infieriscono sui morti.>>

Nessun centro urbano venne risparmiato: le occupazioni si moltiplicarono assieme ai tumulti, mentre le “guardie rosse” proclamarono i soviet ed aprirono la caccia al “crumiro”.

La posa in gioco, però, non era quella di una generica e disinteressata “rivendicazione proletaria”, ma quella del superamento coatto di ogni sensibilità nazionale. Ad essere arbitrariamente massacrati, infatti, non furono i grandi industriali o i latifondisti, ma i reduci di guerra, gli arditi e tutti quei patrioti che avevano difeso i confini d’Italia.

Fu in quest’ottica che le “rivolte bolsceviche” provocarono un malcontento eterogeneo e trasversale – pronto a rispondere anche sul piano fisico, come dimostrerà il successivo fenomeno squadrista – a un “pericolo rosso” che proponeva lo smantellamento di un ordine non soltanto economico, ma anzitutto culturale e identitario: una reazione di popolo che seppe riconoscere nel nascente movimento mussoliniano un interlocutore in grado di coniugare le istanze sociali alla riscossa nazionale.

In quest’ottica, allora, si colloca il secondo volume della tetralogia curata da Pietro Cappellari, tutto dedicato al 1920: Da Vittorio Veneto alla marcia su Roma. Un lavoro straordinario in termini di documentazione e ricerca, capace di inquadrare il “biennio rosso” con uno spirito finalmente libero da i condizionamenti dei gendarmi della memoria: un opera di grande valore fondata sull’analisi dei fatti, delle testimonianze e delle carte originali.

Perché la storia non si fa con le leggi liberticide e con le censure postume, ma con la volontà di raccontare la verità. [1]

[1] di Marco Scatarzi, il Primato Nazionale – Novembre, pag. 60.