Antieuropa

LA SOVVERSIONE COMUNISTA:

<<Il processo sovversivo iniziato con le rivoluzioni democratiche del XVII e XVIII secolo doveva fatalmente generare il comunismo. Sul piano dottrinario il comunismo ha portato alla sua logica conclusione le tendenze proprie della democrazia. Possiamo affermare – e dimostrare – che il democraticismo è il seme dal quale germina naturalmente il bolscevismo.

La sovversione democratica rende essenziale ciò che, tradizionalmente fu sempre considerato accessorio, come il fattore economico, reso preminente sulla politica.

L’egalitarismo, l’eccessiva importanza data al numero a scapito della qualità, “pacifismo” esasperato sino a svirilizzare uomini e nazioni, l’umanitarismo di maniera e di comodo, la gretta mentalità utilitaristica e materialistica ha ridotto l’uomo ad una mera entità economica: queste le verità democratiche su cui si innesta il marxismo.

L’uomo democratico, numero nella massa, entità animalesca ormai priva di virtù virili e di spiritualità, è già l’uomo comunista.

La democrazia sorta come ribellione all’autorità dello Stato tradizionale, sovverte l’ordine naturale della società degli uomini, crea dunque l’egalitarismo, nega la qualità, afferma la preminenza degli interessi materiali su quelli spirituali, sfrena le passioni delle masse, ciancia di umanitarismo, di fratellanza e di coscienza universale. Il socialismo fa sue le tendenze democratiche esasperandole e conducendole alle estreme conseguenze.

L’opera di sovversione iniziata con la rivoluzione francese del 1789 continua idealmente con la rivoluzione bolscevica del 1917.

L’assunto diviene ancora più chiaro se si considera il fenomeno democratico alla luce delle forze che lo anno storicamente prodotto. Si è già visto come la democrazia moderna sia sorta contemporaneamente e conseguentemente allo svilupparsi del capitalismo.

E’ stata anzi un prodotto della volontà dei grandi gruppi finanziari ed industriali, dopo che la rivoluzione industriale del XIX giunse a trasformare le antiche strutture economiche e produttive.

Nel campo strettamente economico il principio liberal-capitalistico, svincolò l’economia dal controllo dello Stato; da strumento utile per la comunità la rese una forza mostruosa al servizio del lucro, dell’utile, in breve del del denaro.

Le macchine, figlie del denaro e della tecnica, asservite all’economia speculativa fondano l’impero della ricchezza: la plutocrazia.

Gli operai, divenuti accessori delle macchine, furono trasformati in un fattore secondario della produzione: la manodopera. Un numero sempre maggiore di uomini, sotto la spinta e il desiderio di un illusorio guadagno e di una vita più comoda, si allontanò dai campi verso le fabbriche e le città. Sorgeva così il proletariato urbano.

In tal modo sono costituiti i termini della dialettica economica sociale moderna: da una parte il capitale, dall’altra la manodopera. Le masse, che avevano fornito alla borghesia le braccia per abbattere le strutture tradizionali, accettano il nuovo giogo.

Ma chi tiene il banco questa volta? Sono le stesse forze sovversive che avevano portato all’instaurazione democratica. In nome degli stessi principi spingono ora la massa operaia a ribellarsi alla società democratica e capitalista accusata di sfruttamento delle masse.

Sorge artificiosamente un nuovo mito moderno: la “classe”. Alla borghesia dominante si contrappone il “proletariato”. Ma cosa sono la classe e il proletariato? La classe in natura non esiste; e non esiste l’operaio come tale. Esistono persone, cittadini, capi o membri di una famiglia, consumatori, contribuenti, soldati o civili, onesti o farabutti, religiosi o atei, avari o generosi, attivi o indolenti, valorosi o vigliacchi, montanari o marinai. Non è sufficiente che degli uomini svolgano lo stesso lavoro, perché si parli di “classe”.

Ne consegue che la l otta di classe è un portato del marxismo: non è il marxismo che sorge in conseguenza dell’esistenza della lotta di classe. Quando l’ebreo tedesco Carlo Marx (alias Mordekai) chiamò i lavoratori di tutto il mondo alla guerra contro le classi economiche privilegiate iniziò il più grande equivoco (inganno) di tutti i tempi.

Già prima del “verbo” marxista, la fame, le malattie ed il lavoro logorante che avvilivano il proletariato europeo avevano, nella prima metà dell’800, favorito la formazione di vari socialismi.

Così come fu piena di agitazioni e di sommosse spesso sanguinose (basterà ricordare le “Jacqueries” francesi o il casareccio “tumulto dei ciompi”) messe in atto da reietti sotto l’autentica spinta della fame.

Soltanto nel 1848, con il “manifesto comunista” di Marx, si fissarono i principi del socialismo scientifico.

Scientifico perché vuole ricondurre la storia degli uomini ad uno sviluppo meccanico, determinato da leggi precise esclusivamente economiche, tali da determinare lo stesso futuro degli uomini.

Tra queste vi è la nota <<legge bronzea dei salari>>, che avrebbe dovuto provocare la ineluttabile rivolta delle masse oberate e la conseguente dittatura del proletariato.

Marx sosteneva, in breve, che l’espansione industriale e l’accumulo del cosiddetto “plusvalore” nelle mani dei capitalisti avrebbe ridotto il proletario ad uno stato di miseria e di indigenza tale da spingerlo alla disperata rivolta contro la società borghese-capitalista. Nella realtà la “scientifica” previsione di Marx non si avverò, infatti, mentre i capitalisti si organizzavano in “trust” realizzando condizioni di monopolio, i prestatori d’opera sfuggivano alla “bronzea legge dei salari” organizzandosi in sindacati ed ottenendo con il tempo delle condizioni di vita ben lontane dalla disperazione e dalla miseria (questo perché si doveva affrettare e perfezionare il mondo della tecnica che avrebbe poi assoggettato completamente l’uomo ndr). Ciò non avviene in nome di una presunta generosità da parte di chi deteneva il potere economico e, ormai, anche quello politico. I governi democratici, bisognosi dei voti delle masse emanarono leggi per la tutela del lavoro. d’altra parte il capitale, bisognoso di consumatori docili e convinto della cattiva resa della manodopera affamata, fu interessato a migliorare le condizioni dei prestatori di lavoro (ma, ribadiamo, che non lo fecero per bontà d’animo ndr).

Il socialismo dinanzi alla nuova realtà creatasi, perse in gran parte il suo slancio rivoluzionario. Sulla base del revisionismo del Bernstein sorsero le varie social-democrazie europee: si preferì sostituire ala lotta di classe il ben più comodo mezzo dell’accordo con la “classe padronale”. D’altronde gli agitatori sovversivi, visto il fallimento della previsione marxista, si dedicano alla “fabbrica della rivoluzione”. Ciò che non era avvenuto spontaneamente doveva avvenire artificialmente. Furono scelti il momento e il luogo. Il luogo fu la Russia zarista, dove un capitalismo in formazione viveva accanto a strutture feudali; il tempo coincise con gli anni della prima guerra mondiale, col paese dissanguato, i soldati stanchi, l’abitudine alla violenza (trovate qualche similitudine con il periodo ’43-’45 in Italia? ndr). Si può ben dire che la rivoluzione sovietica venne da occidente: non a caso, finanzieri ebrei statunitensi e tedeschi (Rockefeller, Warburg, Morgan, Baruch, Rothschild, Schiff, e i loro amici del miglio quadro londinese ndr) finanziarono l’impresa che fu attuata da agitatori in gran parte semiti. Il primo soviet (consiglio dei commissari del popolo) contava 22 membri: di cui 17 erano ebrei.

Fu così che si giunse alla creazione del primo stato comunista: l’U.R.S.S. stato totalitario, retto dai funzionari di partito, rigidi esecutori degli ordini dei soviet, negatori di libertà e ai “borghesi” e ai “proletari”. Questi ultimi videro così sfumare il sogno della loro “dittatura”. L’uomo, in un simile stato, è ancora più numero senza volto, è anonimo, spiritualmente inesistente, materialmente ingranaggio di una enorme macchina che produce per il nuovo padrone: lo Stato sovietico. La figura del padrone del sistema capitalistico è sostituita dallo Stato, unico, vero padrone, abolita la proprietà privata delle persone, diviene detentore di tutto il capitale che impiega in vista del suo solo utile. Collettivismo e pianificazione sono le nuove divinità di una società mostruosa. E questo Stato si auto-investe dell’autorità divina della rivoluzione internazionale comunista.

Creato il Comintern – che sarà più tardi sostituito dal Cominform – centro di propulsione della sovversione mondiale, lo sfacelo comunista si andò propagando nelle varie parti del mondo ad opera degli agenti di Mosca. Larghi strati della società borghese vengono catturati alla “nuova” ideologia: si crea un ambito intellettuale entro il quale la sovversione marxista possa tranquillamente operare. I reprobi, i deformi, i complessati, gli invertiti fanno massa, si pongono agli ordini degli agenti moscoviti (come Togliatti ndr). E’ sorta la “razza marxista” che, disseminata nell’intero mondo, si fa portatrice dell’azione sovvertitrice stabilita, nei tempi e nei modi di attuazione, dalla centrale bolscevica. A tal punto è necessario scoprire i due volti del comunismo.

Vi è un comunismo costituito da una fauna subumana che, usando dei nuovi strumenti pseudo-culturali e propagandistici, prevarica, distrugge, sovverte: è questo il volto del comunismo nei paesi dove esso non è ancora giunto al potere. Vi è poi un comunismo diverso, quasi pulito nel suo rigido moralismo puritano: è quello esistente nei paesi ove già si è instaurata la “dittatura del proletariato”, ove già tutto si è involuto nei limiti del più piatto e mostruoso conformismo (come il capital-comunismo cinese).>> [1]

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